Dimissioni dal posto di lavoro, un fenomeno in grande crescita: ecco perché in tanti lasciano l’impiego

È il fenomeno del “Great Resignation”: l’ondata di licenziamenti volontari partita inizialmente dagli Stati Uniti e che da tempo si è estesa anche al vecchio continente, Italia compresa.

Quali sono le motivazioni di chi abbandona volontariamente il posto di lavoro in un momento di grande incertezza come questo? All’origine sembra esserci anche un divario generazionale.

Negli Stati Uniti lo chiamano “Great Resignation”, le “grandi dimissioni”. Si tratta di un fenomeno che, come si dice, fa tendenza a livello globale. Anche il nostro Paese non fa eccezione a questo trend in continua crescita.

In Italia nei primi nove mesi del 2022 le dimissioni dal lavoro sono state infatti 1,66 milioni. Con un aumento del 22% registrato rospetto allo stesso periodo del 2021, quando le dimissioni avevano toccato quota 1,36 milioni.

È un dato che emerge dalle tabelle dell’ultima nota trimestrale sulle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro. Dopo i contratti a termine sono le dimissioni volontarie a rappresentare la quota più alta tra le cause di cessazione dei rapporti di lavoro. Al tempo stesso sono in risalita – e non di poco – anche i licenziamenti. Sono stati 557 mila nel periodo compreso tra gennaio e settembre 2022. Nello stesso periodo dell’anno precedente i licenziamenti erano stati “solo” 379  mila. Si tratta di un incremento ancor più marcato: +47% nei primi nove mesi del 2022 rispetto al 2021 (va anche detto però che in quel periodo del 2021 ancora vigeva il blocco dei licenziamenti).

Le cause del “Great Resignation’: dalla ricerca di uno stipendio migliore a quella di una vita migliore

Per ritornare però al fenomeno del “Great Resignation”, cosa c’è alla base dell’ondata di dimissioni volontarie? Quali sono le cause, i motivi che spingono le persone ad abbandonare un posto di lavoro, soprattutto in tempi di grande incertezza come i nostri?

A queste domande ha cercato di dare qualche risposte una ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano. Dall’indagine, pubblicata lo scorso mese di maggio, emerge che chi cambia lavoro è spinto a farlo soprattutto dalla ricerca di benefici economici (quasi nella metà dei casi: 46%). In seconda posizione c’è invece l’opportunità di fare carriera (35%), mentre il 24% lascia il lavoro nel tentativo di cercare una maggiore salute fisica o mentale, o per lanciarsi all’inseguimento di qualche passione personale (18%). Una percentuale, quest’ultima, che riguarda anche chi, in particolar modo dopo l’esperienza della crisi pandemica, chiede una superiore flessibilità nell’orario lavorativo (18%).

Il divario tra le generazioni

La ricerca di un migliore equilibrio tra la propria vita lavorativa e quella privata è una delle cause rilevate anche dall’Associazione italiana direzione del personale (Aidp). Per l’Aidp però all’origine del “Great Resignation” c’è anche il divario economico, sociale e culturale tra tre generazioni: quella dei baby boomer, adesso al vertice della stragrande maggioranza di società e aziende, e quelle dei millenial e della Generazione Z, generazioni più giovano che guardano con maggiore attenzione al benessere individuale e alla ricerca di un equilibrio più giusto tra il tempo consacrato alle attività lavorative e alla vita privata.

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