Suicidi, aumentano i casi: cosa spinge a togliersi la vita? La risposta della psicologa

Negli ultimi tempi si è registrato un aumento di casi dei suicidi. Cosa sta accadendo? Che cosa spinge una persona a togliersi la vita?

Per anni si è detto che una delle ragioni per le quali l’essere umano ancora non si è estinto è il forte istinto di sopravvivenza e di attaccamento alla vita. Allora com’è possibile che qualcuno sia in grado di togliersi volontariamente la vita tramite il suicidio?

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Canva-Nurse news

Le persone che tentano il suicidio nascondono la sofferenza profonda a causa di carichi emotivi troppo grandi e di un mancato aiuto. Come spiega la psicologa Anastasia Salvatorelli, le persone che decidono di ricorrere al suicidio non hanno desiderio di morte. A differenza di quello che si potrebbe credere, dietro il suicidio non c’è la rinuncia alla vita.

Perché una persona arriva a compiere un gesto tanto estremo?

Suicidi: c’è desiderio di vita offuscato da tanto dolore

Per spiegare un argomento così complesso come il suicidio è necessario entrare in punta di piedi. Dietro un gesto così estremo, infatti, c’è la sofferenza di chi lo compie ma anche l’enorme senso di colpa di familiari e amici che non sono riusciti ad evitarlo.

Le persone che decidono di togliersi la vita non odiano l’esistenza, ma il dolore che provano. Per loro il suicidio rappresenta una via d’uscita, una fuga da tutto quel dolore.

Per questo motivo le ragioni che si celano dietro un atto così estremo sono molteplici. Alcune persone decidono di tentare il suicidio per problemi personali, come il divorzio o problemi sentimentali, altri invece per problematiche di natura economica (es. licenziamento o debiti).

Generalmente dietro un suicidio c’è sempre preavviso e premeditazione. È davvero raro che questo gesto così estremo rappresenti una reazione di impulso ad un’esperienza traumatica.

Come spiega la dottoressa Anastasia Salvatorelli: “Il suicidio non è desiderio di togliersi la vita, ma di fermare il dolore”.

In base ai dati raccolti solo una minoranza delle persone che tentano il suicidio riescono effettivamente a togliersi la vita.

Ad ogni modo, nella maggior parte dei casi, il tentativo di morire è dovuto a due fattori: un’enorme dolore e un’incapacità nel chiedere aiuto.

Quanto ha inciso la pandemia

Il problema dei suicidi è sempre esistito: dalla notte dei tempi alcuni esseri umani, di fronte a tanta sofferenza, decidono di porre fine alla propria esistenza.

A quanto pare, però, la pandemia ha incrementato il numero di suicidi. Tra lockdown e isolamento molte persone, già in difficoltà, hanno accusato il contraccolpo del disagio e della precarietà del periodo storico. Tutto ciò non ha fatto altro che alimentare le loro sofferenze, fino a trasformarsi nell’epilogo più infausto.

Così come confermato dalla dottoressa Salvatorelli: “Il fenomeno suicidario attualmente riporta dei dati particolarmente allarmanti. In seguito al periodo legato alla pandemia, è stato istituito un osservatorio dei suicidi, in Italia. In questo modo, è stato possibile contare i casi presenti in tutto il paese. L’osservatorio ha individuato un notevole aumento dei casi. Nel 2022 sono stati contati circa 598 casi di suicidio, in Italia. Mentre i 536 (se non erro) sono i casi di tentato suicidio.”

Dietro questi gesti estremi si celano delle grandissime difficoltà, che possono essere di natura economica o sociale. Tuttavia, c’è un dato particolarmente importante che ha individuato un elevato numero di famiglia più a rischio. Generalmente si tratta di nuclei familiari al cui interno ci sono componenti con disabilità.

Tutto ciò dimostra che l’esistenza da caregiver è un grosso fardello psicologico, morale e fisico da trasportare. Questo diventa ancora più grande quando il caregiver è il genitore del disabile. In tal caso, subentra la frustrazione relativa all’incertezza del futuro, oltre all’impossibilità di garantire una vita quotidiana ordinaria al proprio figlio disabile. Troppo spesso questa situazione viene sottovalutata fino a portare ad un vortice di disperazione.

Come giustamente sottolinea la dottoressa Salvatorelli: “Ad oggi il problema principale è che, in Italia, non esiste una reale presa in carico da parte del sistema. Le persone in difficoltà che riescono a chiedere aiuto spesso non ricevono risposta o un adeguato sostegno”.

C’è poi un altro fattore da analizzare che riguarda l’aumento dei casi di suicidi in particolari periodi dell’anno. Come confermato dalla psicologa: “Il nostro umore è labile. Perciò esistono alcuni periodi dell’anno in cui siamo maggiormente esposti. Le persone più introverse hanno una maggiore difficoltà nei periodi in cui c’è un livello di socialità più alto. È questo il caso della primavera o delle festività.”

La responsabilità dei social network

I social network giocano un ruolo fondamentale nell’equilibrio psicologico. Sebbene si tratti di una vita non reale, i social rappresentano perfettamente lo specchio della società.

Questa è l’epoca in cui si ha bisogno di apparire, di mostrare e di avere l’approvazione degli altri. Di conseguenza, non riuscire in questa impresa ha un inevitabile ripercussione negativa sulla psicologia di alcune persone.

Le persone che non si sentono approvate tramite i social sono frustrate, sentendo il peso del confronto e, allo stesso tempo, di deludere le aspettative dell’altro. Tutto ciò non fa altro che abbassare la propria autostima.

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